Chef per Passione

Molluschi

FOODPOWERI MOLLUSCHI

La ricca varietà di molluschi presenti sui banchi delle nostre pescherie da vita a moltissime preparazioni, dai più celebri piatti della cucina classica a una vasta serie di ricette regionale, facili da preparare e adatte ad ogni occasione, o a piatti più elaborati.  Vengono così chiamati per la caratteristica di avere un corpo dalla consistenza molle, i molluschi sono presenti nei mari italiani in un gran numero di specie, dalle forme molto varie. Si suddividono in “bivalvi”, “gasteropodi” e “cefalopodi”. I primi sono anche comunemente chiamati “frutti di mare”,  sono dotati di una conchiglia formata da due parti dette valve, e comprendono le cozze, le vongole, le ostriche, i fasolari, i cannolicchi, i tartufi di mare, le capesante e i pregiati ma vietati datteri. I bivalvi vanno acquistati vivi, controllando che provengano da acque pure. Questi organismi, infatti, respirano e trattengono gli elementi nutritivi di cui hanno bisogno per vivere filtrando l’acqua attraverso piccolissime aperture. A questo proposito, esiste una speciale normativa che detta le condizioni di pesca, di allevamento, di trasporto e di vendita dei bivalvi, che devono giungere al consumatore in confezioni di reti sigillate, recanti un’etichetta che ne indichi la provenienza e la data di scadenza. Alcuni bivalvi, inoltre, come cozze, ostriche e vongole veraci, devono essere stati obbligatoriamente depurati in strutture autorizzate. Il consumatore può verificare l’avvenuta depurazione controllando che sull’etichetta sia citato l’impianto di origine.

I gasteropodi sono tutti quei molluschi la cui conchiglia è formata da una sola valva, che può assumere forma piatta, tonda, a cono o a spirale, come le lumache di mare o di terra, le chiocciole, le telline e i murici. Si tratta di molluschi molto gustosi, ma meno conosciuti e diffusi dei bivalvi, dal momento che sono più poveri di carne e che risulta più difficile estrarre l’animale dalla conchiglia. Anche i gasteropodi vanno acquistati vivi. Per controllare che lo siano basta stimolare il mollusco e valutarne la reazione, evitando l’acquisto di quelli che si presentano poco vitali.

Appartengono, infine, alla categoria dei cefalopodi tutti quei molluschi che hanno il corpo a forma di sacco, dal quale sporge la testa. Quest’ultima categoria si divide a sua volta nei cosiddetti “decapodi”, forniti ciè di 10 tentacoli, come nel caso delle seppie, totani, calamari, negli “ottopodi” con 8 tentacoli, come nel caso dei polpi, dei moscardini e dei fragolini. Oltre che per il numero dei tentacoli i cefalopodi si differenziano tra loro per la presenza, nei decapodi, di una conchiglia interna, una sorta di “osso” o sostegno comunemente chiamato “osso di seppia” per le seppie e “pinnetta” per i calamari e totani, che negli ottopodi invece manca completamente. I cefalopodi possono anche essere consumati non freschissimi. Al contrario, so sono un po’ frolli sono più teneri. Occorre comunque controllare che abbaino un odore gradevole, appena accennato, colore bianco e lucido, occhi brillanti, carni sode e tentacoli resistenti, evitando l’acquisto di quelli che presentano un corpo giallastro e opaco, con carni e tentacoli rilassati e molli, e un odore sgradevole e accentuato.

Una volta acquistati, i molluschi, si conservano nella parte più fredda del frigorifeo, per on più di 1-2 giorni. I bivalvi si possono mantenere vivi in un secchio di acqua nella parte più fredda della casa, coperti con un telo umio e al riparo dalla luce solare diretta. Privati delle interiora, i cefalopodi si possono surgelare e conservare fino a tre mesi. Per conservare al meglio i cefalopodi è bene pulirli con cura, quindi lavarli sotto l’acqua corrente, asciugarli con carta da cucina e riporli in frigorifero dentro contenitori dotati di coperchio, per consumarli entro 24 ore al massimo.

 

COZZE:

 

Chiamate in italiano anche “Mitili“, oppure, a seconda delle regioni “muscoli” o “Peoci“, le c ozze sono fra i frutti di mare più diffusi e più comunemente impiegati nella cucina italiana. Facilmente riconoscibili dalla caratteristica forma e dal colore nero-bluastro della conchiglia, con comunissime in tutti i mari del mondo, dove vivono abbarbicate a scogli e palafitte. Tra le diverse specie esistenti, molto simili tra di loro le più note sono “la cozza spagnola“, che viene importata in Italia, e la “cozza comune“, presente in tutto il mar Mediterraneo e allevata su vasta scala; entrambe possono raggiungere anche i 10 cm di lunghezza, soprattutto la spagnola, che ha gusci più grandi. Altra specie pregiata è la cozza pelosa”, di dimensioni inferiori, così detta per la peluria presente sulla faccia esterna della conchiglia. In cucina le cozze si possono impiegare con il guscio o sgusciate. In ogni caso, devono prima essere pulite, lavandole sotto lacqua corrente in modo da eliminare la sabbia e il fango che si trovano sui gusci, quindi si raschiano gli stessi per asportare le incrostazioni e si elimina la “barba” che sporge dalle valve (bisso), popi si lava di nuovo in acqua fredda. Durante queste operszioni, è bene controllare che i molluschi sian vivi, scartando tutti quelli aperti, rotti o che non si chiudono quando vengono picchiettati. Dopo averle pulite con estrema cura spazzolandole e raschiandone le incrostazioni dei gusci, le cozze vanno cotte, generalmente in intingoli. E’ infatti, sconsigliabile, pur conoscendone la provenienza, consumarle crude. Il modo migliore di cuocerle è farle aprire sul fuoco per qualche minuto in un tegame coperto, con l’eventuale aggiunta di aromi, aglio e prezzemolo, filtrando in seguito con un telo il liquido che emettono durante la cottura nel caso lo si debba poi utilizzare. Per aprire le cozze a crudo, dopo averle pulite accuratamente infilate la lama di un coltello tra le due valve ed esercitate una leggera pressione. Per aprire le cozze aq caldo invece pulitele, mettetele in un tegame, coprite e tenetele al fuoco scuotendo il tegame finchè saranno aperte.

 

 VONGOLE

 

Sono molto note e diffuse in tutto il mar Mediterraneo, dove vivono nella sabbia nelle zone litgoranee, le vongole contano diverse specie. La più conosciuta e utilizzata è la “vongola comune“, di circa 3-4 cm di lunghezza con un gusciodi colore grigio striato, mentre la più pregiata è la “Venere“, chiamata in tutta Italia  con il termine campano di “Vongola Verace” (o anche “Vongola Cornuta” per via dei due lunghi sifoni che sporgono dalla conchiglia), di dimensioni maggiori della precedente, che arivano ai 5-6 cm, con un guscio di colore in genere bruno solcato da fasce radiali più scure. La prima si trova in commercio fresca e sgusciata, surgelata o in scatola; la seconda viene anche allevata e venduta viva (con l’obbligo della depurazione). Esistono poi in commercio il longone o “vongola gialla”, così chiamata per il colore giallo della superficie interna della conchiglia.Dato che le vongole, come pure i Fasolari vivono su fondali sabbiosi, prima di cucinarle occorre pulirle prima dalla sabbia, lasciandole ” spurgare” in un catino di acqua salata per alemno un paio di ore prima di lavarle in acqua corrente, per poterle poi preparare secondo le modalita indicate per le cozze.

 

 FASOLARI

 

Appartengono alla stessa famiglia delle vongole, ma sono decisamente più grandi di queste ultime poichè possono superare i dieci cm  di larghezza. Si preparano e si cucinano come le vongole veraci, ma sono ottimi anche crudi.

 

 TARTUFI DI MARE

Anche questi appartengono alla stessa famiglia delle vongole, sono ottimi consumati crudi. Si preparano e si cucinano come le vongole.

 OSTRICHE

Le ostriche si dividono in tre tipi. Le più pregiate dal punto di vista gastronomico sono quelle tonde, dette “piatte”, caratterizzate da un aroma morbido, salmastro ma armonico. Di dimensioni medie che si aggirano sui 10 cm di larghezza, sono presenti sul mercato italiano in numerose varietà locali, come la tarantina e l’adriatica, anche se si ritiene che le migliori in assoluto siano le “belon” francesi. Altri tipi di ostriche sono quelle dette “lunghe”, tra le quali la più comune è la cosiddetta “portoghese”, e quelle dette “giapponesi” o concave. Caratterizzate dal guscio allungato, sono di qualità poco inferiore rispetto a quelle piatte, e poichè hanno comunque buone carni sono oggetto di allevamento intensivo. Normalmente, le ostriche si mangiano crude. Per prepararle, occorre lavarle accuratamente, quindi aperte  inserendo l’apposito coltellino nella cerniera delle valve, proteggendo la mano che regge l’ostrica con un telo ripiegato e, ruotando la lama sollevare le valve ed eliminare quella superiore. Servendovi dello stesso coltellino da ostriche, separate infine il mollusco dalla valva in cui si trova. Una volta preparate, le ostriche vanno disposte su un letto di ghiaccio tritato su un piatto da portata e servite portando in tavola spicchi di limone, riccioli di burro, fette di pane e pepe.

 CAPESANTE

Vengono anche chiamate “conchiglie di San Giacomo“, le capesante, o cappesante, sono molluschi molto pregiati e raffinati. Sono facilmente riconoscibili dalla grossa conchiglia, bella e regolare, composta di una valva piatta e di una valva fortemente convessa, entrambe biancastre macchiate o sfumate di rosa o castano e percorse da 14-16 robuste costolature che si allargano a raggiera. La valva convessa spesso viene usata, una volta pulita e svuotata, per presentazioni eleganti di pietanze a base di capesante o di altri ingredienti. Le capesante si trovano sui fondi sabbiosi o ghiaiosi della acque europee e di quelle atlantiche settentrionali, dove viene pescata anche la specie “pecten maximus“, che ha dimensioni leggermente minori e costolature meno spigolose. Le capesante si pescano tutto l’anno, tuttavia per consentirne la riproduzione in Italia è proibito il commercio di esemplari inferiori ai 1o cm. Le migliori sono quelle che raggiungono un diametro di 13-15 cm. Sui mercati si trovano vive, ancora racchiuse nella loro conchiglia, ma anche sgusciate e chiuse in sacchetti sigillati. All’interno della conchiglia si trovano tre parti: un muscolo cilindrico bianco e sodo, detto “noce”, che costituisce la parte più pregiata; un corpo morbido semilunare color giallo uovo o arancio vivo detto “corallo” e alcune frange color nocciola che circondano quest’ultimo, dette “alveola”. Tutte e tre le parti del mollusco sono  commestibili, ma l’alveola è spesso eccessivamente piena di sabbia e va eliminata, o usata tutt’al più per un fumetto. Per aprirle basta  porle per qualche istante su una piastra elettrica calda (o su una placca riscaldata del forno) in modo che le due valve si schiudano, quindi, impugnandole con un panno, si inserisce un coltello dapprima rasente la valva piatta per tagliare il legamento e poi lungo quella convessa per liberare il mollusco. Un a volta aperte, si estrae il mollusco, quindi si elimina l’alveola e si divide la noce dal corallo. Si lava bene il corallo sotto l’acqua corrente per eliminare ogni traccia di sabbia. Se la noce risultasse tropo grossa la si può dividere a metà servendosi di un coltello ben affilato.

 DATTERI

E’ un mollusco bivalve della famiglia Mytilidae che deve il suo nome, a lithos (pietra) e phagein (mangiare), per la sua capacità di perforare le rocce per vivere al loro interno. Caratterizzato da una conchiglia equivalve, molto allungata e con le due estremità arrotondate, è di colore bruno castano e per questi particolari che ricordano il dattero si è visto assegnare il nome col quale è conosciuto da tutti.  Sulla faccia esterna delle valve appaiono sottili striature che evidenziano le linee di accrescimento. Il guscio è leggero e ricoperto da una fine membrana; il lato esterno delle valve, in mare, è fosforescente, mentre l’interno è bianco-azzurrognolo, quasi madreperlaceo. Vive all’interno di rocce calcaree corrodendole tramite secrezioni acide e si nutre di materiale organico che raccoglie estroflettendo una sorta di sifone al di fuori della galleria. Può raggiungere le dimensioni massime di 8-10 cm ed è stato calcolato che raggiunge la lunghezza di 5 cm dopo circa 15-20 anni; le popolazioni di dattero di mare possono raggiungere densità massime nelle pareti costituite da calcaree, fino a 300 individui/m², che si sviluppano perpendicolarmente, soprattutto lungo i primi metri di profondità (1-5 m). I fondali più minacciati dalla distruzione connessa alla pesca del dattero sono gli ambienti litoranei di falesia calcarea, che coincidono spesso con la localizzazione di numerosi parchi o riserve marine. In Italia crescono prevalentemente nel litorale spezzino e nel litorale pugliese del Tarantino. La pesca è molto invasiva e distruttiva nei confronti degli ambienti e dei litorali rocciosi che ospitano i datteri per pescarli infatti, si frantumano interi banchi di scogli. Per questo motivo, a seguito di una legge di qualche anno fa, per l’esattezza con il decreto n. 401 del 1998 questo manicaretto resterà nella memoria di coloro che lo hanno potuto assaporate ante legem. Questo mollusco a causa della sua lenta crescita ha da sempre scoraggiato gli allevatori, pensate che per raggiungere le dimensioni di 5 cm impiega quasi 18 anni. Tuttavia in Puglia è stato messo in atto il progetto di un allevamento che si occupa solo del “Dattero Bianco” una specie a crescita rapida. Se tutto questo dovesse essere approvato presto potremo tornare ad assaporare questa prelibatezza che sin dai tempi dei romani era considerato un piatto prelibato e succulento con proprietà afrodisiache.

 CALAMARI

Hanno la carne molto tenera e pregiata, di colore bianco lattiginoso. Possono essere gustati in diverse preparazioni. Hanno un corpo snello che si allarga ai lati di due “pinne” triangolari, di colore bianco rosero punteggiato. Dei 10 tentacoli 8 sono provvisti di due file di ventose mentre gli altri due sono in realtà “braccia tentacolari” più sottili e lunghe. I calamari possono essere lunghi sino a 30 cm, mentre quelli più piccoli che non superano i 5 cm vengono detti “calamaretti”. Vivono presso la costa, sui fondi fangosi di tutto il mediterraneo, motivo per cui è molto facile reperirli sul mercato a prezzi abbastanza contenuti. Al momento dell’acquisto  bisogna accertarsi che emanino un fresco odore di mare, evitando quelli con odore anche leggermente ammoniacale. Si trovano in vendita sia freschi, sia surgelati e scongelati. In quest’ultimo caso, la legge prevede che venga espressamente segnalato al consumatore che si tratta di un prodotto decongelato. Per pulirli si elimina la borsa del nero, gli occhi, il becco al centro dei tentacoli, la pennetta all’interno del sacco, quindi si lavano sotto l’acqua corrente e si preparano per la cottura. A seconda delle dimensioni, i calamari si possono cucinare in vari modi: se sono di piccole dimensioni si consumano anche interi, fritti, lessati o in umido; quelli di medie dimensioni sono perfetti per essere farciti, mentre quelli ancora più grandi, in genere, si tagliano ad anelli per fritture o per cotture in umido.

 TOTANI

 Simili ai calamari nell’aspetto, ma di valore commerciale inferiore per via delle carni più dure e meno saporite, i totani si distinguono dai calamari per la forma diversa delle pinne (che sono più larghe, più lunghe e poste all’estremità del corpo). Per i tentacoli un po’ più grossi, per un anello cartilagineo piuttosto duro nelle ventose, per la pennetta più stretta ed esile per le dimensioni, che in genere si aggirano sui 30-40 cm. Del tutto uguale a quella dei calamari è invece la procedura da seguire per la pulizia, così come gli usi gastronomici e i criteri da seguire per l’acquisto di questo prodotto.

 SEPPIE

 Ben riconoscibili dai calamari e dai totani per l’espansione laminare che corre lungo il margine del corpo ovale e depresso, la seppia è conosciuta soprattutto per il suo nero, con cui si preparano gustosi condimenti, ma in realtà ottima in tutti i modi, purchè si faccia attenzione ad acquistare le più tenere. Il suo valore  gastronomico, infatti, dipendi dall’età che non è sempre proporzionale  alle dimensioni: se sicuramente una seppiolina di 5 cm è più giovane di una di 20 cm, non è detto che lo sia una di 15 cm. Con il tempo, le carni tendono a diventare dure e legnose e necessitano di cotture più prolungate, anche in umido, che possano ammorbidire. Per tutti gli impieghi che non prevedono cotture lunghe, è bene quindi optare per seppie di 10-12 cm di lunghezza massima. Per quanto riguarda i criteri da seguire per l’acquisto e gli usi gastronomici, ci si può riferire a quanto precedentemente detto per i totani e i calamari. Per quanto riguarda la pulizia invece, incidete con un coltello la seppia dalla testa verso la coda in modo da vedere  bene l’osso e sfilatelo spingendo con i pollici dal fondo tondo del sacco verso l’esterno. Fanno eccezione le seppie piccolissime, che in caso di frittura si possono preparare con l’osso, che è tenerissimo. Estraete le interiora, conservando la piccola sacca che contiene il nero, riconoscibile dal colore madreperlaceo. Se la seppia è di dimensioni medie-grandi privatela anche della pelle. Se la ricetta lo richiede separate con un paio di forbici la testa, poi da questa eliminate gli occhi, il becco al centro dei tentacoli. Infine, lavate il tutto sotto l’acqua corrente.

POLPO

 I polpi appartengono alla famiglia dei molluschi in particolare dei cefalopodi. Si presentano con un corpo centrale e sono dotati di 8 tentacoli con doppia fila di ventose. I polpi sono molto comuni sulle coste italiane, dove vengono pescati in tutte le stagioni dell’anno. La loro dimensione può variare dai 50 cm di lunghezza degli esemplari più comuni fino ai 3 metri, con un peso che oscilla tra i 100 gr e i 25 kg. In commercio possiamo trovare due tipi di polpo: quello di “sabbia”, riconoscibile per una sola fila di ventose sui tentacoli, e quello di “scoglio”, detto verace molto più saporito. Il polpo risulta migliore se consumato dopo circa 24 ore dalla pesca e sopporta bene la surgelazione. Solitamente quello che si trova in commercio è già stato sottoposto a sfibratura, operazione che serve a renderlo più tenero e che si effettua prima sbattendolo su una pietra o battendolo con un batticarne (passaggio non necessario se il polpo pesa meno di 100 gr) e poi strofinandolo su una superficie scabra per eliminare la parte viscida che lo ricopre. In cucina è uno dei  molluschi più saporiti e viene in genere lessato o cotto in umido. L’importante è che non venga cotto troppo a lungo, perchè risulterebbe duro, stopposo e poco gradevole al palato. Indicativamente, si può indicare per un polpo di circa 1 kg circa 1 ora di lessatura, anche se non esiste una regola generale per calcolare in modo corretto i tempi, la soluzione migliore sta nel pungerlo alla base di uno dei tentacoli con un sottile spiedino di metallo: se questo penetra facilmente la cottura è al punto giusto. Per ottenere un risultato ancora migliore ed evitare che il polpo si asciughi e risulti duro, è bene lasciarlo intiepidire, una volta cotto, nella stessa acqua di cottura per 15/20 minuti prima di sgocciolarlo e tagliarlo secondo quello che prevede la ricetta. Se di grosse dimensioni il polpo viene comunemente chiamato “piovra”.

MOSCARDINO

Vengono denominati anche “Polpi Muschiati” per via del forte odore di muschio che emanano, si differenziano dai polpi per il fatto che hanno una sola fila di ventose lungo i tentacoli e per le dimensioni ridotte, che non superano quasi mai i 40 cm di lunghezza. In cucina si preparano come i polpi e i calamari, con esclusione delle ricette che prevedono la farcitura, dal momento che la loro sacca è troppo piccola per contenere il ripieno. Esiste anche una varietà meno pregiata chiamata “moscardino bianco“, gradevole se viene proposta fritta, ma meno pregiata del muschiato, mentre la varietà più piccola dei moscardini, i cosiddetti “fragolini” sono molto teneri e gustosi.

Lascia un commento