Presentiamo oggi una salsa tipicamente Ligure, una salsa che se fatta ad opera d’arte come prevede la tradizione genovese è una delle ricette più buone che esistano. (sta parlando il Ligure che è in me! io Adoro il pesto). Il Pesto una salsa per cui la Liguria è famosa in tutto il mondo, la sua preparazione originale con la pestatura del Basilico (in dialetto Baxeicò) nel tradizionale Mortaio di marmo (in dialetto murtà) con pestello rigorosamente in legno fa si che la salsa mantenga il suo colore verde brillante. La ricetta del pesto non ha origini antichissime. La Liguria è sempre stata patria delle erbe aromatiche (non a caso, La Spezia deve il suo nome all’antico commercio di spezie che aveva sede in zona). Il pesto come lo conosciamo noi risalirebbe al XIX secolo a cura di un famoso gastronomo dell’epoca, tale Giovanni Battista Ratto che nomina questa salsa nel suo libro “La cucina Genovese” e sembra sia l’evoluzione di un’altra antica ricetta Ligure  molto più antica:  “L’aggiadda (agliata)”.  Detto questo non possiamo certo tralasciare una famosa leggenda secondo la quale si narra come sia nato veramente il pesto. Si sa che i genovesi erano e sono grandi navigatori ma che se non avessero avuto marinai napoletani e calabresi che a loro volta avevano avuto come maestri arabi, etruschi e greci non sarebbero andati da nessuna parte (la bussola la hanno inventata gli arabi). Questa è la premessa per il pesto alla genovese:
I genovesi avevano sulle alture di Pra un modesto convento intitolato a San Basilio, uno dei tanti monaci, asceti e solitari si era stufato di mangiare le acciughe o la carne di tre giorni prima (non esisteva u frigideiru) che la magnanimità dei fedeli genovesi per buttarla via la portavano in offerta a lui (il braccino corto è nato allora) e cercava di lenire la putredine con erbe aromatiche. Su quelle alture nasceva un erbetta aromatica che il buon fraticello nel suo latino maccheronico defini’ subito Op(t)imun Basilium ringraziando il Santo che gliela aveva fatta trovare. Tornato al convento, triturò l’erbetta, l’ aggiunse alla carne ma la cosa non migliorò gran chè e allora pensò di aggiungere un poco di olio (quello “rancido” ma vergine sempre offerto dai ricconi della marina per le lampade e l’estrema unzione), ma anche cosi la cosa non era granchè. Al convento un vecchio frate che aveva navigato molto, spandendo benedizioni, dopo le stragi dei genovesi nel mediterraneo, gli consigliò di aggiungere un poco di pinoli dicendo “Questi ci son stati offerti dai Pisani (fregati ai..) loro li mettono nei dolci e nel castagnaccio,  son buoni”.  La ricetta cominciava a migliorare. Il fraticello, dopo qualche tempo fu mandato pure lui a benedire teste mozzate in giro per il “mare nostrum” e, fu così che capitando in Sardegna, mentre compravano il sale (fregavano) ai sardi, si ritrovò nelle tasche un pezzo di quel formaggio puzzolente fatto con il latte di capra ma cosi vecchio e duro che l’unica maniera per mangiarlo era quello di grattarlo e pestarlo con un poco di sale dentro la famosa salsa di basilico, pinoli, olio e sale. Un bel dì, mentre la nave su cui navigava il fraticello scappava, inseguita dagli spagnoli Napoletani a cui avevano fregato la ricetta della pasta insieme ad altre cosucce, si rifugiarono ad Imperium (Imperia), dove da tempo a Vessalico (località dell ‘imperiese) si faceva una salsa rubata (commerciata) ai piemontesi denominata aioli (agliata). Mentre aspettavano che gli Spagnoli (napoletani) lasciassero libero il campo, i due fraticelli, il navigatore Zenese e il montanaro di Vessalico, pensarono di unire le due ricette, quindi misero basilico, pinoli, sale, olio, pecorino e aglio, pestarono il tutto in un mortaio e ne risultò una salsa buona ma che sulla carne o sul pesce non era un granchè. A questo punto la storia sarebbe finita li con una salsa buona e basta, fino a quando quando al fraticello navigatore non venne un idea: “Perchè non provare a condirci gli spaghetti fregati ai napoletani?”(che li avevano fregati ai veneziani che li avevano fregati ai cinesi) ma non avevano la trafila per farli tondi e allora si accontentarono di una sfoglia sottile tagliata a striscioline lunghe e piatte. E fu cosi che nacquero le trenette con il pesto. Ritornato a Zena, il fraticello fece assaggiare la sua ricetta che ebbe un grandissimo successo, ma era nato un problema, i sardi un tantino incazzatelli non volevano più offrire il pecorino (farsi fregare) e allora si optò per il parmigiano. In seguito quando i sardi si calmarono (sono incazzati ancora adesso per le mazzate prese dai genovesi), la ricetta si arricchì di tutti e due i formaggi per arrivare così ai giorni nostri.
Fine della storia Vera del pesto genovese, anche se i Corsi della Balagne (che sono poi genovesi cacciati da genova) ne rivendicano la paternità con il loro Pistu, la loro è la vera ricetta poichè han fregato il basilico a Genova, l’olio a Imperia, i pinoli a Pisa, l’aglio al Piemonte, il pecorino ai Sardi, il parmigiano agli emiliani, ma la pasta no, loro usano le lasagne.

Il pesto alla genovese è inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali liguri e sono state attivate campagne promozionali a favore del “Pesto al Mortaio tradizionale Ligure” tanto che dal 2007 a Genova si tiene con cadenza biennale il campionato del mondo di pesto al Mortaio.

Ma veniamo alla nostra salsa, in commercio troviamo prodotti con la dicitura “Pesto alla genovese”, poi leggendo gli ingredienti vi trovate davanti alle cose più assurde, ve ne cito alcune: ricotta, latte in polvere, anacrdi, olio di semi e così via. Quando leggete la scritta “Pesto alla genovese” assicuratevi che gli ingredienti siano solo ed esclusivamente  7 (sette), ho detto solo sette ne uno di più ne uno di meno: Basilico genovese di Prà DOP, olio extravergine di oliva (possibilmente della riviera ligure), Parmigiano Reggiano DOP, Pecorino sardo DOP (fiore sardo), pinoli, aglio e sale.

Non mancano certo le varianti (che non condivido assolutamente!) soprattutto per quanto riguarda l’uso dell’aglio. I tradizionalisti (come me) solo al pensiero gli si accapona la pelle e rabbrividiscono, ma i gusti son gusti, eliminate pure l’aglio, ma non permettetevi di chiamarlo pesto alla genovese.

Ingredienti per circa 4 persone:

1 mazzetto di basilico (circa 30 foglie), 2 spicchio di aglio, 60 gr di pecorino “Fiore sardo” grattugiato, 120 gr di parmigiano grattugiato, 1/2 bicchiere di olio extravergine, 50 gr di pinoli, sale grosso q.b.

Preparazione:

Lavate accuratamente in acqua fredda corrente le foglie di basilico e fatele asciugare all’aria stese su un canovaccio. Nel frattempo mettete  nel mortaio (rigorosamente di marmo) gli spicchi di aglio e i pinoli. Con il pestello di legno riduceteli in crema schiacciandoli e quando saranno completamente spappolati con movimento rotatorio. A questo punto aggiungete, le foglie di basilico e il sale.

Stesso procedimento di prima iniziate con il pestare le foglie e man mano che si schiacciano procedere con movimento rotatorio. Una volta che anche il basilico  sarà spappolato e ben amalgamato con i pinoli, l’aglio e il sale,

aggiungete  i formaggi grattugiati e un po’ di olio.

Mescolate bene sempre con il pestello con movimenti rotatori senza dare colpi e amalgamate bene il tutto sino ad ottenere un composto verde brillante.

A questo punto i pesto alla Genovese è pronto per essere utilizzato per  condire trofie e trofiette, trenette e linguine, gnocchi e lasagne.

Qualche consiglio per la preparazione:

  • Per condire la pasta usate sempre il pesto fuori dal fuoco, mettendolo nel piatto o nella terrina di portata assieme a una noce di burro e diluendolo con un paio di cucchiai di acqua di cottura. Se non lo usate subito, potete conservarlo per qualche giorno in frigorifero, ricoprendone la superficie di olio;
  • Nel caso non vogliate proprio fare a meno del frullatore, del mixer o del robot, cercate di usare le lame in plastica e non quelle di acciaio che farebbero ossidare il ferro presente nel basilico. Azionate alla più bassa velocità possibile e a scatti in modo da evitare un surriscaldamento che altererebbe il gusto del pesto. Sempre per evitare surriscaldamenti, potete mettere la tazza del frullatore e le lame in frigorifero un’ora prima dell’utilizzo